Leggiamo Insieme #4
Buona sera a tuttiiiii eccoci con un altra puntata dela rubrica Leggiamo Insieme che verra pubblicata ogni sabato, scommeto che vi state chiedendo cosa sia ed eccovi la risposta essa non è un concorso letterario ho una lettura collettiva, ma consiste nel presentarvi un estratto, ho il primo capitolo di un libro a mia scelta, cosi da farvelo conoscere tramite la lettura di questa anteprima sono accette anche richieste ^_^ il libro che ho scelto e il seguente:
Beth Fantaskey: Promessi Vampiri - The Dark Sider
Titolo: Promessi Vampiri. The dark side. Autore: Beth Fantaskey Pagine: 624 Prezzo: € 16,50 Uscita: 19 Ottobre 2011 ISBN: 9788809767713 |
Prologo
«Mamma?» La neve la avvolge in un turbine, è girata di spalle, coperta da un mantello di un rosso accecante. Cremisi... il colore di Mihaela. La regina che un tempo regnava sulla stirpe dei Dragomir è una macchia di sangue su una distesa bianca, è forte e salda come le rocce appuntite dei Carpazi, che incombono in lontananza sul picco solitario dove ci incontriamo sempre. Muovo un passo incerto verso di lei. Perché non si volta per salutarmi? «Mamma?» Poi Mihaela si gira, col viso coperto dal cappuccio. Fra le mani ha un oggetto, qualcosa che tiene premuto contro il petto allo stesso modo in cui una suora stringe a sé una croce. Ma Mihaela non è un’umile, pia serva di Dio, e quello che stringe... non è un simbolo sacro. È un paletto... un paletto macchiato di sangue. Il paletto di cui Lucius si è servito per distruggere suo zio – e che non molto tempo prima aveva minacciato di usare contro... «No! Mai!» Riemergendo da un sonno agitato, mi tirai su a sedere tentando di liberarmi da un peso che mi opprimeva il petto e, una volta aperti gli occhi, mi ritrovai immersa nella luce tremolante del fuoco che ardeva nel camino di pietra. Per un istante non riuscii a capire dove mi trovassi. Poi, gradualmente, riconobbi gli oggetti che mi circondavano. Ero a casa di Lucius – la nostra casa. Ero seduta sul nostro letto. Il peso che fino a un attimo prima avevo percepito sul petto... non era... non era altro che quello delle coperte con cui eravamo costretti a ripararci in quella sua – nostra – enorme e gelida stanza, nonostante il fuoco fosse sempre acceso. Respirai profondamente e gli posai una mano sulla spalla, per convincermi che andava tutto bene. Finché Lucius fosse stato al mio fianco, sarebbe andato tutto per il verso giusto. Ma le scene confuse del recente incubo continuavano ad affollarmi la mente. L’ immagine del paletto, che non vedevo dalla notte in cui lui aveva affondato i canini nel mio collo facendo di me un vampiro... Perché l’avevo sognato? E perché proprio mia madre – che non mi avrebbe mai fatto del male – lo stringeva fra le mani? Mihaela aveva iniziato a insinuarsi nei miei sogni quando ancora ero in Pennsylvania, e da quando avevo sposato Lucius e mi ero trasferita in Romania era successo sempre più spesso. Era come se mia madre, distrutta poco dopo la mia nascita, stesse cercando di proteggermi mentre tentavo di seguire le sue orme e diventare una sovrana, col solo conforto del diario che mi aveva lasciato. Una specie di dono di nozze che avrebbe avuto lo scopo di guidarmi nell’accettazione del ruolo che avrei rivestito, quello cioè di principessa. Il mio cuore accelerò il battito. L’ avevo davvero accettato? Ci stavo provando... Tornando ad accucciarmi sotto le coperte, cercai di colmare la distanza che mi separava da Lucius in quel letto così grande – il letto nel quale, mi aveva confessato una volta, gli Anziani Vladescu avevano sperato che lui stesso mi togliesse la vita, sbarazzandosi della sposa Dragomir con cui avrebbe dovuto dividere il potere e permettendo così ai Vladescu di regnare incontrastati su entrambi i nostri casati. Impaziente di sentirlo vicino, scalciai via le ampie lenzuola che mi avvolgevano come un mantello. A volte mi sembrava tutto così grande in quella casa – la nostra casa. Comprese le responsabilità di cui dovevo farmi carico. Lucius dormiva sul suo lato del letto, dandomi le spalle, e io lo abbracciai da dietro, premendo il mio corpo contro il suo. Era gelido. Quel gelo apparteneva anche a me da quando mi aveva morsa, suggellando il nostro comune destino nel rispetto di un patto vecchio di decadi che prevedeva il nostro matrimonio per porre fine alla lotta fra le due famiglie rivali. Stringendomi ancora di più a mio marito – non ero ancora riuscita ad abituarmi a quella parola – rimasi in ascolto percependo il battito regolare del suo cuore, un suono che aveva sempre avuto il potere di calmarmi ogni volta che ero nervosa. Lucius non aveva paura. Fremeva dal desiderio di dominare su entrambi i clan. Era nato e cresciuto per questo. O forse nel profondo anche lui nutriva dei timori? «Lucius?» Sorreggendomi su un gomito, iniziai a scuoterlo piano, tanto era il bisogno di vedere quei suoi occhi scuri e sentire la sua voce profonda. «Lucius?» «Sì... cosa c’è?» mormorò. Si voltò sulla schiena cercandomi sotto le coperte costose e rigide che mi facevano sentire ancora di più la mancanza delle soffici, e anche un po’ consumate, lenzuola di flanella fra le quali ero solita dormire nel mio letto, in Pennsylvania. Ma con che coraggio una principessa poteva chiedere delle lenzuola di flanella? «Dimmi, Jessica...» Posandogli la mano sul petto, percepii il battito lento del suo cuore e mi chiesi se non si fosse già riaddormentato. Tuttavia non potei trattenermi dal sussurrargli una domanda, piano, così che le guardie fuori dalla porta non potessero sentirci: «Cosa significa se un vampiro sogna un paletto?». Lucius non rispose, pensai che si fosse riaddormentato – probabilmente esausto dopo l’ennesima giornata trascorsa a lottare per rappacificare le nostre due ostinate famiglie – e abbandonai di nuovo la testa sul cuscino, con la schiena premuta contro il suo fianco. Come in risposta a quella pressione, lui si voltò e mi tirò a sé, e io sentii tutta la potenza di quel corpo da guerriero, disposto a proteggermi come uno scudo. Lassù, in cima a quella montagna, nelle profondità di un castello spaventoso di cui in teoria avrei dovuto essere sovrana, ma che invece mi confondeva ancora con quel suo intrico di cunicoli, la notte si fece più silenziosa che mai. Persino il fuoco sembrò scoppiettare più debolmente nel camino. Dopo aver cercato di cancellare l’incubo dalla mia mente, avevo iniziato a scivolare di nuovo nel sonno quando Lucius – col suo respiro gelido sul mio collo – bisbigliò qualcosa che sentii a malapena: «Tradimento». Mi irrigidii fra le sue braccia. Era la risposta alla mia domanda o vaneggiava nei suoi stessi sogni? Nei suoi incubi? Anche se si fosse trattato della seconda ipotesi, la cosa non mi era affatto di conforto. Perché nella mente di mio marito si erano formate delle immagini di tradimento? Considerando quanto valore Lucius, come tutti i vampiri, attribuiva ai sogni... «Tradimento.» Pronunciai quella parola ad alta voce, come a volermi assicurare di aver sentito bene. «Tradimento.» Sentendo la mia voce, esile ma perfettamente chiara nel silenzio sepolcrale della montagna, Lucius si agitò nel sonno e mi cinse col suo forte braccio ricoperto di cicatrici per stringermi ancora di più a sé, immobilizzandomi contro il suo petto. Gli afferrai la mano e tentai di fargli allentare la presa quel tanto che bastava perché potessi respirare. Lui non si mosse e io ci riprovai. Al tatto riconobbi un’altra profonda cicatrice – la X che si era tracciato sul palmo della mano poco prima del matrimonio, il simbolo della sua appartenenza a me – e la fede nuziale che portava alla mano sinistra. La mano del comando. La stessa mano con cui, appena qualche mese prima in quello stesso castello, aveva premuto un paletto contro il mio petto, stringendomi a sé in maniera molto diversa.
«Mamma?» La neve la avvolge in un turbine, è girata di spalle, coperta da un mantello di un rosso accecante. Cremisi... il colore di Mihaela. La regina che un tempo regnava sulla stirpe dei Dragomir è una macchia di sangue su una distesa bianca, è forte e salda come le rocce appuntite dei Carpazi, che incombono in lontananza sul picco solitario dove ci incontriamo sempre. Muovo un passo incerto verso di lei. Perché non si volta per salutarmi? «Mamma?» Poi Mihaela si gira, col viso coperto dal cappuccio. Fra le mani ha un oggetto, qualcosa che tiene premuto contro il petto allo stesso modo in cui una suora stringe a sé una croce. Ma Mihaela non è un’umile, pia serva di Dio, e quello che stringe... non è un simbolo sacro. È un paletto... un paletto macchiato di sangue. Il paletto di cui Lucius si è servito per distruggere suo zio – e che non molto tempo prima aveva minacciato di usare contro... «No! Mai!» Riemergendo da un sonno agitato, mi tirai su a sedere tentando di liberarmi da un peso che mi opprimeva il petto e, una volta aperti gli occhi, mi ritrovai immersa nella luce tremolante del fuoco che ardeva nel camino di pietra. Per un istante non riuscii a capire dove mi trovassi. Poi, gradualmente, riconobbi gli oggetti che mi circondavano. Ero a casa di Lucius – la nostra casa. Ero seduta sul nostro letto. Il peso che fino a un attimo prima avevo percepito sul petto... non era... non era altro che quello delle coperte con cui eravamo costretti a ripararci in quella sua – nostra – enorme e gelida stanza, nonostante il fuoco fosse sempre acceso. Respirai profondamente e gli posai una mano sulla spalla, per convincermi che andava tutto bene. Finché Lucius fosse stato al mio fianco, sarebbe andato tutto per il verso giusto. Ma le scene confuse del recente incubo continuavano ad affollarmi la mente. L’ immagine del paletto, che non vedevo dalla notte in cui lui aveva affondato i canini nel mio collo facendo di me un vampiro... Perché l’avevo sognato? E perché proprio mia madre – che non mi avrebbe mai fatto del male – lo stringeva fra le mani? Mihaela aveva iniziato a insinuarsi nei miei sogni quando ancora ero in Pennsylvania, e da quando avevo sposato Lucius e mi ero trasferita in Romania era successo sempre più spesso. Era come se mia madre, distrutta poco dopo la mia nascita, stesse cercando di proteggermi mentre tentavo di seguire le sue orme e diventare una sovrana, col solo conforto del diario che mi aveva lasciato. Una specie di dono di nozze che avrebbe avuto lo scopo di guidarmi nell’accettazione del ruolo che avrei rivestito, quello cioè di principessa. Il mio cuore accelerò il battito. L’ avevo davvero accettato? Ci stavo provando... Tornando ad accucciarmi sotto le coperte, cercai di colmare la distanza che mi separava da Lucius in quel letto così grande – il letto nel quale, mi aveva confessato una volta, gli Anziani Vladescu avevano sperato che lui stesso mi togliesse la vita, sbarazzandosi della sposa Dragomir con cui avrebbe dovuto dividere il potere e permettendo così ai Vladescu di regnare incontrastati su entrambi i nostri casati. Impaziente di sentirlo vicino, scalciai via le ampie lenzuola che mi avvolgevano come un mantello. A volte mi sembrava tutto così grande in quella casa – la nostra casa. Comprese le responsabilità di cui dovevo farmi carico. Lucius dormiva sul suo lato del letto, dandomi le spalle, e io lo abbracciai da dietro, premendo il mio corpo contro il suo. Era gelido. Quel gelo apparteneva anche a me da quando mi aveva morsa, suggellando il nostro comune destino nel rispetto di un patto vecchio di decadi che prevedeva il nostro matrimonio per porre fine alla lotta fra le due famiglie rivali. Stringendomi ancora di più a mio marito – non ero ancora riuscita ad abituarmi a quella parola – rimasi in ascolto percependo il battito regolare del suo cuore, un suono che aveva sempre avuto il potere di calmarmi ogni volta che ero nervosa. Lucius non aveva paura. Fremeva dal desiderio di dominare su entrambi i clan. Era nato e cresciuto per questo. O forse nel profondo anche lui nutriva dei timori? «Lucius?» Sorreggendomi su un gomito, iniziai a scuoterlo piano, tanto era il bisogno di vedere quei suoi occhi scuri e sentire la sua voce profonda. «Lucius?» «Sì... cosa c’è?» mormorò. Si voltò sulla schiena cercandomi sotto le coperte costose e rigide che mi facevano sentire ancora di più la mancanza delle soffici, e anche un po’ consumate, lenzuola di flanella fra le quali ero solita dormire nel mio letto, in Pennsylvania. Ma con che coraggio una principessa poteva chiedere delle lenzuola di flanella? «Dimmi, Jessica...» Posandogli la mano sul petto, percepii il battito lento del suo cuore e mi chiesi se non si fosse già riaddormentato. Tuttavia non potei trattenermi dal sussurrargli una domanda, piano, così che le guardie fuori dalla porta non potessero sentirci: «Cosa significa se un vampiro sogna un paletto?». Lucius non rispose, pensai che si fosse riaddormentato – probabilmente esausto dopo l’ennesima giornata trascorsa a lottare per rappacificare le nostre due ostinate famiglie – e abbandonai di nuovo la testa sul cuscino, con la schiena premuta contro il suo fianco. Come in risposta a quella pressione, lui si voltò e mi tirò a sé, e io sentii tutta la potenza di quel corpo da guerriero, disposto a proteggermi come uno scudo. Lassù, in cima a quella montagna, nelle profondità di un castello spaventoso di cui in teoria avrei dovuto essere sovrana, ma che invece mi confondeva ancora con quel suo intrico di cunicoli, la notte si fece più silenziosa che mai. Persino il fuoco sembrò scoppiettare più debolmente nel camino. Dopo aver cercato di cancellare l’incubo dalla mia mente, avevo iniziato a scivolare di nuovo nel sonno quando Lucius – col suo respiro gelido sul mio collo – bisbigliò qualcosa che sentii a malapena: «Tradimento». Mi irrigidii fra le sue braccia. Era la risposta alla mia domanda o vaneggiava nei suoi stessi sogni? Nei suoi incubi? Anche se si fosse trattato della seconda ipotesi, la cosa non mi era affatto di conforto. Perché nella mente di mio marito si erano formate delle immagini di tradimento? Considerando quanto valore Lucius, come tutti i vampiri, attribuiva ai sogni... «Tradimento.» Pronunciai quella parola ad alta voce, come a volermi assicurare di aver sentito bene. «Tradimento.» Sentendo la mia voce, esile ma perfettamente chiara nel silenzio sepolcrale della montagna, Lucius si agitò nel sonno e mi cinse col suo forte braccio ricoperto di cicatrici per stringermi ancora di più a sé, immobilizzandomi contro il suo petto. Gli afferrai la mano e tentai di fargli allentare la presa quel tanto che bastava perché potessi respirare. Lui non si mosse e io ci riprovai. Al tatto riconobbi un’altra profonda cicatrice – la X che si era tracciato sul palmo della mano poco prima del matrimonio, il simbolo della sua appartenenza a me – e la fede nuziale che portava alla mano sinistra. La mano del comando. La stessa mano con cui, appena qualche mese prima in quello stesso castello, aveva premuto un paletto contro il mio petto, stringendomi a sé in maniera molto diversa.
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