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My Secret Diary


In molti manga viene citata la festa di Tanabate ma che cos'è in realtà? Perché è una festa che si festeggia solo in Giappone? Be scopriamolo insieme...

Tanabata (七夕? "settima notte") è una festa tradizionale giapponese derivata dall'equivalente festival cinese di Qīxī.

Cosa celebra questa festa? per scoprirlo dobbiamo tornare a tantissimi anni fa quando sulle sponde del fiume celeste abitava una bellissima principessa di nome Orihime, figlia di Tentei, imperatore del cielo e sovrano di tutti gli dei. La principessa viveva col padre e passava tutte le sue giornate a tessere la tela con cui poi cuciva preziosi abiti per tutti gli dei. Orihime lavorava molto duramente per far felice il padre ma era triste perché a causa del suo lavoro non avrebbe mai potuto incontrare nessuno. Un bel giorno, Tentei, grazie all’amore per la figlia e al dispiacere che provava nel vederla così triste, decise di darla in sposa ad un bellissimo giovane di nome Hikoboshi, un mandriano che aveva il compito di far pascolare i buoi sacri.

Per i due giovani fu amore a prima vista. Essi si innamorarono follemente l’uno dell’altra ed erano talmente felici che, presi dall’amore e dalla passione, trascorrevano ogni giornata insieme, dimenticandosi di tutto il resto, anche dei loro doveri. Di conseguenza, Orihime non tesseva più la sua tela, lasciando gli dei senza abiti, e i buoi di Hikoboshi vagavano senza controllo per tutto il cielo. Questo scatenò la rabbia di Tentei, che non poteva tollerare questa situazione e, per porvi rimedio, fu costretto a punire severamente i due sposi. Per evitare che i due avrebbero potuto incontrarsi, rischiando così di abbandonare nuovamente i loro doveri, l’Imperatore del Cielo creò due sponde separate dal fiume Ama-no-gawa (Via Lattea) e rendendolo anche impetuoso e privo di ponti fece si che i due non potessero mai più incontrarsi. Il risultato non fu però quello sperato: il pastore sognando e pensando sempre alla sua innamorata non accudiva ugualmente le bestie e neppure la dolce fanciulla, pensando continuamente al suo amore cuciva più i vestiti agli dei.

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Salve Entucci !!!! Insieme alla streghetta Emanuela del blog Il Mondo di Sopra abbiamo pensato di proporvi la rubrica Ti racconto una leggenda dove pubblicheremo delle leggende prese dal web o fatti realmente accaduti. Tutti quanti nel periodo natalizio preparano il famoso albero di natale, c'e chi segue uno stile diverso ogni anno, c'e invece chi ripropone sempre lo stesso ogni anno, che chi lo preferisce sintetico o vero... Ma vi siete mai chiesti perchè ogni anno per tradizione allestiamo l'albero di Natale? Scopriamolo insieme....

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La leggenda dell'albero di Natale

In un villaggio di campagna, la Vigilia di Natale, un ragazzino si recò nel bosco alla ricerca di un ceppo di quercia da bruciare nel camino,  come voleva la tradizione. Si attardò più del previsto e venuto il buio, non seppe ritrovare la strada per tornare a casa. Per giunta cominciò a cadere una fitta neve. Il ragazzo si sentì assalire dall'angoscia e pensò a come, nei mesi precedenti, aveva atteso quel Natale, che forse non avrebbe potuto festeggiare. Nel bosco, ormai spoglio di foglie, vide un albero ancora verdeggiante e si riparò dalla neve sotto di esso: era un abete.
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Salve Entucci !!!! Insieme alla streghetta Emanuela del blog Il Mondo di Sopra abbiamo pensato di proporvi la rubrica Ti racconto una leggenda dove pubblicheremo delle leggende prese dal web o fatti realmente accaduti. E da tanto che non pubblico questa rubrica vi starete chiedendo come mai ho scelto questo periodo per ripubblicarla, be semplice il natale è alle porte e quale migliore occasione se non questa. Girano tantissime leggende intorno a natale e questa e una di esse....

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C'era una volta, in un paese tra i monti, un vecchio mercante. L'uomo viveva solo, non si era mai sposato e non aveva piu' nessun amico.

Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno. Uscì di casa e vide gente che andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: - Fratello, - gli gridarono - non vieni? 

Fratello, a lui fratello? Lui non aveva fratelli. Era un mercante e per lui non c'erano che clienti: chi comprava e chi vendeva. 

Per tutta la vita era stato avido e avaro e non gli importava chi fossero i suoi clienti e che cosa facessero.

Ma dove andavano? Si mosse un po' curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli. Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma il suo cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Piangeva miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare. No, lui non poteva essere fratello di quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita. Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote, anche i poveri avevano qualcosa. 

E lui non aveva niente, lui che era ricco. 

Arrivò alla grotta insieme con gli altri; s'inginocchio insieme agli altri. - Signore, - esclamò - ho trattato male i miei fratelli. Perdonami. E cominciò a piangere. Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò. Alla prima luce dell'alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline. Era nato il vischio.
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Salve Entucci !!!! Insieme alla streghetta Emanuela del blog Il Mondo di Sopra abbiamo pensato di proporvi la rubrica Ti racconto una leggenda dove pubblicheremo delle leggende prese dal web o fatti realmente accaduti come quello che sto per raccontarvi.

Soveria Simeri (cz) L'Ultima Strega.

La protagonista di questa storia si chiama Cecilia Faragò, nata nel 1712 circa, molto probabilmente a Zagarise. Si sposa giovanissima, a metà degli anni venti del XVIII secolo, con Lorenzo Gareri di Soveria, appartenente ad una ricca famiglia. Da questo matrimonio nacquero due figli, Sebastiano e Andrea. Il primo entrò in convento e divenne monaco francescano, così che quando Lorenzo morì nel 1762, lasciò tutti i suoi averi al figlio Andrea, malato e improle.

Andrea fervente cattolico come il padre, venne convinto da due canonici di Soveria, Domenico Vecchietti e Francesco Biamonte, a lasciare la sua cospicua eredità alla chiesa con la promessa della salvezza eterna.

Nel 1766 alla morte del figlio, Cecilia Faragò si oppose alla sua scelta ed entrò in conflitto con i due preti, i quali corrompendo e persuadendo, riuscirono a far accusare la Faragò di stregoneria, incolpandola peraltro della “misteriosa” morte di un altro sacerdote, Antonio Ferrajolo, ricorrendo all’aiuto della madre del defunto, Amelia Rossetti.
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Salve Entucci !!!! Eccoci con una nuova puntata della rubrica Musing Monday, questa rubrica nasce sul blog Should Be Reading, e verrà pubblicata ogni lunedi. Essa consiste nello scegliere una delle sei opzioni elencate e rispondere alla domanda scelta. Una cosa molto semplice non trovate? Alla fine io rivolgerò a voi una domanda a caso, e chiunque volesse partecipare a questo meme puo' farlo tranquillamente lasciando la sua risposta  in un commento.
  • Attualmente Sto leggendo....
  • Up next, Penso che leggerò ...
  • Il libro / i acquistato/ i la scorsa settimana ...
  • Non vedevo l'ora di parlarvi ( libro / autore / news libresca) ...
  • Sono davvero sconvolto da (libro / autore / news libresca) ...
  • Non vedo l'ora di ottenere una copia di ...
  • Vorrei poter leggere ___ , ma ...
  • Ho bloggato su ____ la scorsa settimana ... 

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Salve Entucci !!!! e da tanto che no pubblico questa rubrica e bene si oggi spulciando sul mio vecchio blog ho trovato la leggenda del Rododendro e quest'oggi voglio riproporvela ^_^

Il nome di questo fiore deriva dal greco ròdon, che significa rosa, e déndron, che significa albero; dunque, "albero delle rose". In tedesco il rododendro è chiamato viceversa alpenrose, rosa delle Alpi, perché cresce fino a duemila metri d'altezza, mentre negli Appennini viene chiamato anche "rosa dei morti" perché una vecchissima leggenda narra che fosse nato dal sangue di un giovane che si era ucciso per amore. 

La leggenda però più bella di questo fiore narra del principe dei ghiacci, che viveva sereno e tranquillo con la regina madre in un castello posto fra gli alti ghiacciai della catena alpina del Monte Bianco, fino a quando il suo cuore fu preso dall'amore. Ancora adesso può capitare che, osservando la cima del Monte Bianco nelle notti di luna piena, la si veda risplendere di bagliori dorati; alcuni raccontano che sono le fate, che giocano con palline d'oro, berillo ed acquamarina; si favoleggia da costoro che la cima del Monte sia d'oro purissimo, celato dai ghiacciai perenni.

Altri invece sostengono che quei bagliori sono quanto si riesce ad intravedere, in condizioni favorevoli, delle torri dorate, svettanti verso il cielo, del castello dove per lungo tempo ha abitato il principe dei ghiacci, e che ormai è abbandonato. Questa è la storia di quel principe. In un tempo lontano, narrano i vecchi che abitano a ridosso del monte, il luogo era abitato. Il castello era bellissimo, sembrava fatto di cristallo, e nei lunghi corridoi e nelle ampie stanze radiose sembrava di camminare immersi nell'arcobaleno, quando il sole splendeva. Era impossibile essere infelici in un luogo così bello e il principe, la madre, i numerosi amici che venivano in visita, i servitori fedeli e trattati con umanità e cortesia, persino gli animali erano lieti di vivere in un luogo tanto bello. Un giorno il principe, che amava molto cacciare, si spinse nell'inseguire la preda ben oltre i confini del suo regno, fino ad arrivare ad una valle sconosciuta, piena di fiori dagli smaglianti colori, dove vide, seduta in mezzo al prato, una bella creatura solitaria e luminosa come una stella. La vita del principe cambiò il suo corso, in quel quieto giorno di primavera, poiché lei lo guardò con occhi così grandi e dolci che il cuore del giovane tremò, e fu smarrito per sempre. 

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Questo fiore delicato annuncia la nuova stagione, ed il perenne rinnovarsi della natura. E' pertanto considerato di buon augurio. Essa possiede un potere  unico, nel mondo delle fate : quello di rendere visibile l'invisibile. Infatti, si racconta che, per chi ci crede, mangiare le primule sia un metodo sicuro per vedere le fate. Ci sono due tipi di primule : secondo una deliziosa leggenda un giorno San Pietro, uomo e santo di carattere sanguigno, avendo saputo che il Signore voleva un altro mazzo delle chiavi del Paradiso, buttò il suo dal Cielo. Le chiavi caddero in una regione dell'Europa settentrionale, per fortuna senza procurare gran danno, e dove caddero spuntò la primula veris: questo fiore giallo, dai piccoli capi penduli, assomiglierebbe, secondo la tradizione popolare, alle chiavi di San Pietro, tant'è che in Inghilterra, viene chiamato anche "mazzo di chiavi". Nelle nostre regioni è invece più diffusa la primula vulgaris, dal piccolo capo eretto. Narra una storia di molto tempo fa, di quando, per intenderci, ancora il popolo degli uomini e quello degli esseri fatati vivevano entrambi sulla terra ciascuno la propria vita, senza danneggiarsi a vicenda, che fu proprio in un prato, luminoso di primule gialle appena spuntate, che il re degli elfi perse il suo cuore per una donna mortale. Erano i primi giorni di sole, e sulla terra erano nate le primule a rallegrare i prati col loro colore di pallido oro, dopo un inverno così lungo e cupo che persino gli esseri fatati ne avevano subito la tristezza. Il Re degli elfi veniva da un suo splendido mondo d'oro e di cristallo, attraversato da verdi lame di luce, luminose come raggi di sole, da un mondo dove tutto era bellezza, incanto e malia e dove abitavano bellissime fate. E tuttavia, quando, affacciandosi da una delle sue torri, vide occhieggiare tra la terra ancor secca dal freddo invernale quei primi annunci di sole, venne colto dal desiderio di far visita alla bellezza del mondo degli uomini. Proprio da quelle parti viveva un nobile re, in un castello che si alzava superbo e possente sulla collina. Anche il re era possente e superbo, e già avanti negli anni. Con lui viveva la sua giovane sposa, un po' intimorita da quel marito così altero, un po' melanconica per la solitudine alla quale la costringeva la gelosia di lui.  Quel primo giorno di sole, anche la giovane regina, attratta dai primi raggi di luce e dai fiori gentili spuntati così numerosi nei prati, indossò un suo bell'abito di seta frusciante, verde come la tenera erba, scese dalle sue alte stanze e corse felice come una bimba verso quella promessa di primavera. Ovunque, le primule profumavano del loro profumo leggero, del profumo di ogni cosa del bosco e dei prati. Il re degli elfi era abituato alla bellezza del suo mondo e della sua gente, eppure, quando vide quella giovane donna mortale muoversi lieve in quel prato di primule gialle, i lunghi capelli biondi del medesimo oro quieto dei fiori appena nati....Quando vide quei capelli che le danzavano leggeri dietro le spalle una danza che sembrava in onore della primavera, incarnazione della primavera ella stessa con quell'abito di tenero verde di seta, il suo cuore fu preso in un istante, e per sempre.

Si avvicinò dunque alla splendida giovane, promettendole che un giorno l'avrebbe condotta nel suo invisibile mondo. E lei, alzando gli occhi a guardare quella bella creatura di un'altra epoca e regno, gli lesse nel cuore i sorrisi, la dolcezza, il riso gentile che egli aveva conservati per la compagna, e si abbandonò senza esitare a quella promessa sconosciuta di gioia. La giovane però era a sua volta sposa di re, e non poteva allontanarsi dal proprio mondo senza il consenso del suo signore. Fu così che un giorno il re fatato, si presentò alla corte del re mortale, e lo sfidò ad un gioco simile agli scacchi, che si giocava in quei tempi. Imbaldanzito da due vittorie consecutive, ritenendo, nella sua superbia, impensabile una sconfitta, il re mortale sfidò infine la creatura non mortale ad una terza partita, invitandola a scegliere la posta della vittoria. "Quello che il vincitore chiederà, sarà suo." Disse sorridendo il re degli elfi, ed il re umano non vide - accecato dall'avidità delle due splendide vittorie consecutive e dalla sua stessa alterigia - il bagliore verde negli occhi dell'avversario. Ovviamente, questa volta la vittoria arrise all'essere fatato, che espresse il suo desiderio : voleva Lei, la bellissima sposa del re, la voleva da quando l'aveva vista danzare tra i fiori, in un giorno ormai lontano di primavera, e non era disposto ad aspettare un momento di più. L'onore non avrebbe dovuto lasciare al re degli uomini alcuna scelta, eppure egli si fece istintivamente più accosto alla sposa, stringendo la spada, e tutti i suoi cavalieri con lui. Il re degli elfi però, sguainò la sua spada e prese ad avanzare, impassibile, mentre la schiera si apriva magicamente per lasciarlo passare, raggiunse la donna e la cinse con il braccio che non impugnava l'arma. Come per incanto, i due si sollevarono da terra, sempre più in alto, fino a quando sembrarono due uccelli, forse due cigni, che scomparvero nel sole. Raggiunsero così la luminosa terra del sovrano fatato, ed è a causa di ciò che scoppiò la prima guerra tra gli uomini ed il popolo degli elfi, il cui re, però, non abbandonò mai la sua sposa mortale. Si dice che ancora oggi, talvolta, nei primi giorni di sole dopo un cupo inverno, il re degli elfi e la sua sposa vengano sulla terra a raccogliere le primule d'oro dai prati, e sarebbe questo il motivo per cui questi fiori scompaiono così rapidamente dai campi. Qualcuno racconta anche di avere intravisto la sagoma scura di due esseri, forse fatati, o forse solo due uccelli, volare in coppia contro il sole e scomparire nei cielo di primavera.

Dal Web
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Al solstizio d'estate, quando il sole raggiunge la sua massima inclinazione positiva rispetto all'equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso, comincia l'estate Tale giorno era considerato sacro nelle tradizioni precristiane ed ancora oggi viene celebrato dalla religiosità popolare con una festa che cade qualche giorno dopo il solstizio, il 24 giugno, quando nel calendario liturgico della Chiesa latina si ricorda la natività di San Giovanni Battista. E nella festa di San Giovanni convergono i riti indoeuropei e celtici esaltanti i poteri della luce e del fuoco, delle acque e della terra feconda di erbe, di messi e di fiori. Tali riti antichi permangono, differenziandosi in varie forme, nell'arco di duemila anni, benché la Chiesa ostinatamente abbia tentato di sradicarli, o perlomeno di renderli meno incompatibili con la solennità e si esauriscono soltanto con la sistematica repressione dei governanti laici dell'Italia unita: nelle zone rurali si mantengono tuttavia i riti più semplici e naturali, propri della società contadina e pastorale. Tutte le leggende si basano su di un evento che accade nel cielo : il 24 giugno il sole, che ha appena superato il punto del solstizio, comincia a decrescere, sia pure impercettibilmente, sull'orizzonte : insomma, noi crediamo che cominci l'estate, ma in realtà, da quel momento in poi, il sole comincia a calare, per dissolversi, al fine della sua corsa verso il basso, nelle brume invernali. Sarà all'altro solstizio, quello invernale, che in realtà l'inverno, raggiunta la più lunga delle sue notti, comincerà a decrescere, per lasciar posto all'estate. E' così che avviene, da millenni, la corsa delle stagioni.
Nella notte della vigilia di San Giovanni, la notte più breve dell'anno, in tutte le campagne del Nord Europa l'attesa del sorgere del sole era (è ?) propiziata dai falò accesi sulle colline e sui monti, poiché da sempre, con il fuoco, si mettono in fuga le tenebre con le tenebre e con esse gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Attorno ai fuochi si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano prodigi : le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano nell'aria scura promesse d'amore e di fortuna, il Male si dissolveva sconfitto dalla stessa forza di cui subiva alla fine la condanna la feroce Erodiade, la regina maledetta che ebbe in dono il capo mozzo del Battista. Nella veglia, tra la notte e l'alba, i fiori bagnati di rugiada brillavano come segnali ; allo spuntar del sole si sceglievano e raccoglievano in mazzi per essere benedetti in chiesa dal sacerdote. Bagnarsi nella rugiada o lavarsene almeno gli occhi al ritorno della luce era per i fedeli cristiani un gesto di purificazione prima di partecipare ai riti in chiesa. La rugiada ricordava il battesimo impartito dal Battista nel Giordano, le erbe dei prati e dei boschi riproponevano l'austera penitenza di Giovanni nel deserto prima della sua missione di precursore del Messia. Anche in Valsesia ritroviamo l'usanza dei falò, del lavacro con la rugiada e della benedizione in chiesa del mazzo di erbe e di fiori. Conservate gelosamente in casa, portate all'alpeggio in estate - verso il quale da molti paesi si partiva la stesso giorno del 24 di giugno - le erbe benedette riconsacravano la baita di montagna lasciata l'anno prima mantenendo tra le famiglie dei pastori un legame con la sacralità della festa e del rito d'inizio d'estate. Al ritorno dall'alpe, quelle stesse erbe essiccate, unite ad un ramo di olivo e ad uno di ginepro, venivano bruciate nella stalla a protezione degli animali. Non a caso, dunque, il precursore di Cristo, rappresentato con l'Agnello mistico e vestito da eremita, pastore del deserto, fu assunto dai pastori come patrono privilegiato fino dai primi secoli cristiani. IL rito della benedizione dei "fiori di San Giovanni", erbe benefiche e medicine medievali per curare il corpo ed evitare il malocchio, per proteggere la casa e gli animali domestici era assai diffuso in Valsesia, fino a pochi decenni fa. Ma ancora adesso, a Rossa, piccolo paese della Val Sermenza, valle minore della Valsesia, il parroco di Boccioleto, Don Luigi, mi ha raccontato che i fedeli richiedono la preghiera "magica", quella che proteggerà dai mali i raccolti. E la richiederebbero anche ad Oro di Mezzo, frazione di Boccioleto, se non fosse che non ci sono più anime a popolare la piccola frazione. Tutti se ne sono andati, ormai. Rimangono le montagne, immobili, maestose, gravide di leggende di cui nessuno ricorda più la trama, e tanto meno il significato. E rimane, l'antica, suggestiva preghiera che un anno dopo l'altro, un secolo dopo l'altro, ha convinto di aiuto e pietà generazioni di donne e ancora adesso, in questo mondo impazzito, in un piccolo paese nascosto tra le montagne, raccoglie le donne lì giunte in processione a chiedere aiuto e pietà ad un Dio di cui si prega l'ascolto : "Dio onnipotente ed eterno, che hai santificato nell'utero di tua madre il beato Giovanni Battista, e nel deserto hai voluto nutrirlo di erbe, di radici e di locuste silvestri, degnati di benedire questi rami, i fiori e le nuove biade, i frutti e le erbe che i popoli raccolgono, affinché .....siano una medicina per tutte le anime e per i corpi. Dio, che in principio hai creato tutte le cose con la Tua onnipotenza e ad esse hai assegnato una forza, degnati di benedire questo insieme di erbe e di fiori, affinché tutti quelli che li portano con sé o li conservano nelle loro case, siano liberati da ogni inganno diabolico. Dio onnipotente ed eterno, che ti sei degnato di nutrire nelle grotte del deserto il beato Giovanni Battista di locuste e di miele selvatico, degnati pure, Signore, di benedire e di santificare questi fiori oggi preparati in onore al Tuo nome, affinché a tutti quelli che li portano in mano o li conservano nelle loro abitazioni, siano di protezione per i corpi e per le loro anime e di medicina per tutte le malattie. Dio onnipotente ed eterno, creatore di tutte le cose per l'utilità del genere umano degnati di benedire e di santificare queste creature di erbe e di fiori, affinché tutti quelli che da esse ne abbiano presi alcuni e li abbiano portati con sé ricevano la guarigione tanto del corpo come dell'anima, e affinché per propria forza, e in onore di Tuo Figlio e Nostro Signore e in onore del beato Giovanni Battista siano nuovamente beati e santificati e abbiano potere contro le tenebre, le nubi e le malignità delle tempeste e contro le incursioni dei demoni ....." Ed ancora le donne si recano in processione, recando con loro i fiori da benedire. I fiori di San Giovanni, dunque : l'artemisia, l'arnica ; le bacche rosso fuoco del ribes ; la verbena, della quale è credenza diffusa che, colta a mezzanotte della vigilia di San Giovanni, costituisca un'infallibile protezione contro i fulmini, ed è conosciuta in Bretagna come "erba della croce", perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da qualsiasi male ed anche come "erba della doppia vista" perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti nascoste. E l'erica, la pianticella sottile. L'erica è un fiore delle nevi e dei terreni poveri ed ostili. Infatti, il suo nome deriva dal verbo greco "ereiko", spezzo, rompo, proprio perché l'erica è più forte della dura crosta di terra invernale o della neve che la ricopre, tant'è che la buca senza fatica, emergendo all'aria aperta. I fiori dell'erica, che vanno dal bianco alle varie tonalità di rosa, assomigliano, rovesciati, ai copricapi degli elfi. Della stessa famiglia dell'erica è un'altra pianticella, detta brugo (cognome assai diffuso nei paesi ai piedi delle nostre montagne, e davvero molto a Romagnano Sesia), da brucus, termine tardolatino di origine celtica, da cui deriva il termine brughiera, poiché in questa terra povera e arida la pianticella riesce a vivere meglio di altre, coprendo immense distese. L'erica, dal nome più romantico, era tenuta in grande considerazione fin dall'antichità, tanto da essere utilizzata per costruire le scope che sarebbero servite a pulire i templi degli Dei, e successivamente, in tempi più severi, il forno dove cuocere il pane.
L'utilizzo dell'erica per costruire scope era così diffuso che, in alcune regioni, l'erica stessa viene chiamata scopa e ancora oggi, alcune località soprattutto della Toscana, dove l'erica ricopre a distesa campi e colline, vengono chiamate Scopeto, Poggio delle Scope, Pian di Sco'. Stessa origine dovrebbero avere i paesi di Scopa e Scopello, della nostra Valsesia. Le leggende associano spesso l'erica alle Entità Fatate, facendole dimorare fra i suoi rami e sconsigliando di sdraiarsi a dormire fra queste piantine, per non correre il rischio di essere rapiti dal mondo delle fate. Di contro, era possibile  accedere ai segreti dell'Aldilà, semplicemente dormendo su un letto di erica, che è anche spesso giaciglio degli amanti in numerose leggende. E l'erica è posta a guardia del solstizio d'estate, periodo nel quale raggiunge la fioritura più completa. Usanza derivante probabilmente dal mondo celtico, dove l'erica è collegata sia all'Aldilà sia all'amore : le api, simbolo di saggezza segreta che proviene dall'Altromondo, sono particolarmente ghiotte dei fiori di questa piantina e producono così un miele squisito, da sempre legato a riti e significati di immortalità e di rinascita. E ancora, tipico della notte di San Giovanni, il raro, misterioso fiore della felce che cresce nella notte magica, e si dice fiorisca a mezzanotte.
La storia relativa ai fiori magici è interessante, ed è frutto di credenze molto diffuse. In Boemia, ad esempio, si crede che il fiore della felce risplenda come l'oro, o come il fuoco, nella notte di San Giovanni : chiunque lo possieda in questa magica notte, e salga una montagna tenendolo in mano, scoprirà una vena d'oro, e vedrà brillare di fiamma azzurra i tesori della terra. In Russia, i contadini raccontano che chi riesce ad impadronirsi del meraviglioso fiore nella vigilia di San Giovanni, se lo getta in aria, lo vedrà ricadere per terra nel punto preciso dove è nascosto un tesoro. Pare che questo fiore fiorisca improvvisamente, talvolta, a mezzanotte precisa della magica notte del solstizio d'estate ; e, sempre in Russia si racconta che chi abbia la fortuna di cogliere l'istante di quella fioritura improvvisa, potrà nello stesso tempo assistere a tanti altri spettacoli meravigliosi : gli sarebbero apparsi tre soli, e una luce avrebbe illuminato a giorno la foresta, e avrebbe udito un coro di risa, ed una voce femminile chiamarlo. IL fortunato a cui accade tutto questo non deve spaventarsi : se riesce a conservare la calma, raggiungerà la conoscenza di tutto ciò che sta succedendo o succederà nel mondo. Anche se resta da vedere se quest'ultima sia una buona magia. Ma anche il seme della felce, che si vuole risplenda come oro nella notte di San Giovanni, non diversamente che dal magico fiore, farebbe scoprire i tesori nascosti nella terra : i contadini del Tirolo credono che alla vigilia di San Giovanni si possano veder brillare come fiamme i tesori nascosti e che il seme della felce raccolto in questa mistica notte possa portare alla superficie l'oro celato nelle viscere della terra. Nel cantone svizzero di Friburgo, il popolo usava un tempo vegliare vicino ad una felce la notte di San Giovanni, nella speranza di guadagnare il tesoro che qualche volta il diavolo in persona portava loro. Un altro fiore, questo facilmente rintracciabile e che appare d'oro anche ad occhio nudo, è legato nella memoria popolare al solstizio d'estate. La densità della sua fioritura è tale da risaltare sulle grandi distese, come una gran macchia di colore giallo oro misto a rame ; i fiori infatti, così numerosi e brillanti, durano poco, un giorno soltanto, e subito appassiscono e assumono un colore rosso ruggine. Si tratta dell'iperico, un fiore dei campi che è detto erba di San Giovanni, perché anticamente chi si trovava per strada la notte della vigilia, quando le streghe si recavano a frotte verso il luogo del convegno annuale, se ne proteggeva infilandoselo sotto la camicia insieme con altre erbe, dall'aglio, all'artemisia, alla ruta. IL suo stretto legame col Battista sarebbe testimoniato dai petali che, strofinati tra le dita, le macchiano di rosso perché contengono un succo detto per il suo colore "sangue di San Giovanni". E' davvero difficile risalire alla motivazione di questo accostamento - perché il Battista e non un altro martire ? - se non forse il fatto che l'iperico è un fiore che si accontenta di poco, per sopravvivere, e vive anche nei climi desertici, come fece un tempo Giovanni il Battista. Nelle leggende si parla anche di un 'erba piccolissima e sconosciuta, detta Erba dello Smarrimento. Si dice che essa venisse seminata dalle Fate e dai Folletti nei luoghi da loro frequentati e, calpestata, avrebbe allontanato dalla retta via il malcapitato. A questa leggenda si intreccia quella, di origine tedesca ma alquanto diffusa nel biellese, che, se taluno passa vicino alla magica fioritura della felce, nella notte di San Giovanni, senza raccogliere il seme che la pianta lascia cadere, sarà condannato a smarrirsi per via, anche se percorre strade a lui note. Altrettanto conosciuta era l'Erba Lucente, che consentiva, se portata sul corpo, di vedere la verità delle cose senza mascheramenti o inganni. Poiché quest'erba era invisibile agli uomini, ma non ai bovini domestici, la si poteva raccogliere solo seguendo un vitello al  suo primo pascolo, oppure le mandrie, nella notte di San Giovanni. Si raccontava infatti che in quelle occasioni i bovini mangiassero solo quell'erba, dando così la possibilità a chi proprio lo desiderava di individuarla. Le vecchie storie non tramandano cosa accadesse agli incauti che ci riuscivano, cui da allora, conoscendo ogni verità, era negata la possibilità dell'illusione. Anche in Valsesia, come abbiamo già detto, ritroviamo l'usanza dei falò, del lavacro con la rugiada e della benedizione in chiesa del mazzo di erbe e di fiori. Conservate gelosamente in casa, portate all'alpeggio in estate - verso il quale da molti paesi si partiva la stesso giorno del 24 di giugno - le erbe benedette riconsacravano la baita di montagna lasciata l'anno prima mantenendo tra le famiglie dei pastori un legame con la sacralità della festa e del rito d'inizio d'estate. Al ritorno dall'alpe, quelle stesse erbe essiccate, unite ad un ramo di olivo e ad uno di ginepro, venivano bruciate nella stalla a protezione degli animali. Non a caso, dunque, il precursore di Cristo, rappresentato con l'Agnello mistico e vestito da eremita, pastore del deserto, fu assunto dai pastori come patrono privilegiato fino dai primi secoli cristiani.

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Nelle Dolomiti si racconta che, una volta all’anno, due misteriose figure femminili compaiono, a bordo di una barca, sulle limpide acque blu del Lago di Braies. La loro storia si perde negli anni che furono, ed è una storia di guerra, di amore, di tradimento. Che inizia nell'antico regno di Fanes.

Alle origini di questa leggenda, c’è l’alleanza delle regina di Fanes con il popolo delle marmotte. Un'alleanzache la regina tiene segreta quando prende, come marito, un re straniero.

Il nuovo re, ambizioso e guerrigliero, stringe invece un’alleanza con l’aquila fiammeggiante.

A qualche anno dal matrimonio, la regina dà alla luce due gemelle: Dolasilla e Lujanta. La madre, di nascosto, affida Lujanta alle marmotte come pegno dell’alleanza, ricevendo in cambio una piccola marmotta.

Anche il re deve dare un pegno analogo all'aquila, e affida le sue figlie ad un servo perchè si rechi al Monte Nuvolau per effettuare lo scambio. Il fagotto consegnato al perfido rapace, però, non contiene una bimba, bensì la piccola marmotta, abilmente e segretamente sostituita dalla regina in accordo con il servo.
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Ciao Readers! Noi siamo un team di lettori compulsivi, (forse ossessivi) amiamo tutto ciò che è scritto su carta, la grafica e i gatti (anche i cani eh) siamo donne, uomini (SEMPRE GIOVANI) e la cosa che ci accomuna e ci ha reso amici è questa passione! Speriamo di trasmetterla anche a voi attraverso le nostre letture, e se volete scambiare quattro chiacchiere nel nostro salottino letterario scriverci!


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